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BARNABA, IL COMPAGNO DIMENTICATO DI SAN PAOLO

BARNABA, IL COMPAGNO DIMENTICATO DI SAN PAOLO

 

Foto Incampo 3Nella lunga ombra proiettata da Paolo di Tarso, l’Apostolo delle Genti, si muove un’altra figura centrale dei primi anni del cristianesimo. Meno celebre, meno studiato, eppure fondamentale. Il suo nome è Barnaba, e se oggi il suo volto sembra scolorito nel tempo, la sua eredità spirituale resta incisa nelle fondamenta della Chiesa nascente. Il suo vero nome era Giuseppe, ma gli apostoli lo chiamarono “Barnaba”, che secondo gli Atti degli Apostoli significa “figlio della consolazione” o “figlio dell’esortazione”. Nato a Cipro, di origine levitica, Barnaba compare per la prima volta nel Nuovo Testamento come uno dei discepoli più generosi: vende un suo campo e dona tutto il ricavato alla comunità cristiana di Gerusalemme (Atti 4,36-37). Un gesto simbolico che segna la sua totale dedizione alla nuova fede. Ma il suo vero atto rivoluzionario arriva poco dopo: è lui il primo a fidarsi di Saulo di Tarso, l’ex persecutore dei cristiani, appena convertito sulla via di Damasco. Quando tutti gli altri discepoli lo temono, è Barnaba a introdurlo agli apostoli, a garantirne la sincerità. Senza Barnaba, forse, non ci sarebbe mai stato l’Apostolo Paolo come lo conosciamo. Dalla predicazione ad Antiochia — dove i discepoli furono per la prima volta chiamati “cristiani” — alle fatiche della missione in Asia Minore, Barnaba e Paolo sono inseparabili. Visitano città come Listra, Derbe, Iconio, tra accoglienze entusiaste e violente persecuzioni. Sono protagonisti di un evento epocale: il Concilio di Gerusalemme, in cui si stabilisce che i convertiti al cristianesimo non debbano più sottoporsi alla legge ebraica. Un passaggio fondamentale per l’apertura del cristianesimo al mondo pagano. Barnaba, pur essendo giudeo di origine, si schiera con decisione accanto a Paolo: l’annuncio del Vangelo deve superare i confini etnici e religiosi. È un cristianesimo universale, aperto a tutti. Ma nemmeno i santi sono immuni dalle divergenze. Ed è proprio un episodio umano, troppo umano, a separare i due apostoli. Quando si tratta di organizzare un nuovo viaggio missionario, Barnaba vuole portare con sé il giovane Giovanni Marco, suo cugino, che aveva già abbandonato il gruppo durante una precedente missione. Paolo si oppone fermamente. Il dissenso diventa insanabile. Così, i due si dividono. Paolo parte con Sila verso la Siria e la Cilicia. Barnaba, con Marco, torna nella sua amata Cipro. Da quel momento, il racconto degli Atti si concentra sulla figura di Paolo. Di Barnaba, il testo sacro non dice più nulla.

Il silenzio delle Scritture ha lasciato spazio alla tradizione. Secondo una fonte risalente ai primi secoli, Barnaba avrebbe continuato la sua predicazione a Cipro, fino al martirio. Sarebbe stato lapidato a Salamina, da alcuni Giudei ostili alla sua attività missionaria. Il suo corpo sarebbe stato poi sepolto in segreto da Giovanni Marco. Una leggenda racconta che, secoli dopo, il suo sepolcro fu miracolosamente ritrovato con una copia del Vangelo di Matteo posta sul petto, scritta di sua mano. Un ritrovamento che fu interpretato come segno divino e confermò la storicità del suo martirio, rafforzando l’indipendenza religiosa della Chiesa cipriota da quella di Antiochia. La figura di Barnaba, pur venerata come santo sia nella Chiesa cattolica (11 giugno) che in quella ortodossa, è rimasta spesso in secondo piano rispetto a quella di Paolo. Eppure, senza Barnaba, Paolo non avrebbe forse trovato ascolto tra gli apostoli. Senza Barnaba, il primo annuncio ai pagani sarebbe stato più difficile. Senza Barnaba, la storia del cristianesimo avrebbe preso un’altra strada. Oggi Barnaba ci parla attraverso il silenzio, le lacune, gli atti di fiducia e le scelte coraggiose. È l’uomo del “sì” quando tutti dicevano “no”. Il mediatore, il fratello, l’apostolo del secondo piano, ma dal primo cuore. In tempi in cui il potere spesso si misura in visibilità, Barnaba resta un modello di fedeltà e dedizione, capace di scomparire nel racconto per lasciare spazio alla missione. E forse è proprio questo il suo più grande atto d’amore.

Nicola Incampo

 Responsabile della Conferenza Episcopale

di Basilicata per l’IRC e per la pastorale scolastica