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Esplosioni d’artista, le lave cromatiche di Luigi Grossi
in mostra a Villa Bruno dal 16 maggio al 14 giugno
Tradizione e visione contemporanea per la Festa della Lava
San Giorgio a Cremano - Il Museo Civico di San Giorgio a Cremano in Villa Bruno, ospita dal 16 maggio al 14 giugno 2025, la mostra personale di Luigi Grossi “Esplosione d’artista”, inserita nel programma della Festa della Lava 2025.
Tra radici storiche e visioni contemporanee, l’esposizione racconta il profondo e complesso rapporto tra l’uomo e il Vesuvio. Un legame intriso di spiritualità che richiama le origini rituali della Festa della Lava e si manifesta nell’installazione allestita al Piano Nobile di Villa Bruno, sede principale del museo, dove le "lave cromatiche" di Luigi Grossi si intrecciano con l’allestimento permanente, patrimonio storico artistico della Città risalente al periodo tra il XVII e XIX secolo. Le antiche tele sacre, icone della devozione popolare del territorio, dialogano con le visioni contemporanee di Grossi in un rimando di forme, luci e colori che offrono allo sguardo una riflessione nel tempo e nello spazio.
La mostra prosegue anche negli spazi della Biblioteca di Cultura Vesuviana “Sac. Giovanni Alagi”, dove “papiri carbonizzati” si confrontano con le dinamiche quinte di libri, animate dalla fruizione viva e quotidiana della biblioteca stessa. Un percorso che celebra la memoria, la trasformazione, la potenza e la bellezza inquieta della nostra terra.
Venerdì 16 maggio 2025, alle ore 19.00 si svolgerà il vernissage di apertura della mostra presso la Biblioteca di Villa Bruno. Dopo i saluti del Sindaco Giorgio Zinno e del vicesindaco Pietro De Martino, vi saranno gli interventi della curatrice della mostra, Marianastasia Lettieri e dell’artista Luigi Grossi. Le conclusioni sono affidate al Prefetto Michele di Bari.
“Questa mostra, che si inserisce nelle celebrazioni della festa della Lava, unisce identità, arte e memoria collettiva. Villa Bruno e il Museo Civico si confermano luoghi vivi di cultura, capaci di accogliere linguaggi artistici contemporanei in dialogo con la nostra storia – spiega il Sindaco Zinno. Il Vesuvio, simbolo potente e ambivalente della nostra terra, rivive in questa esposizione come forza creativa e spirituale, capace di ispirare riflessione e bellezza”.
Martedì 6 maggio, alle 19.00, si apre la mostra di Lorenzo Bojola, secondo appuntamento conFotografia - Tracce Fiorentine, presso la Trattoria 4 Leoni a Firenze, a cura dalla storica dell’arte e della fotografia Anna Maria Amonaci, voluta da Stefano Di Puccio, titolare della trattoria.
La rassegna pone l’accento su come l’espressione fotografica di un artista venga segnata profondamente dai luoghi della sua formazione e vuole essere un racconto visivo attraverso lo sguardo di sei fotografi, di generazioni diverse, legati a Firenze per nascita o formazione: Franco Cammarata (che l’ha inaugurata lo scorso 7 marzo), Lorenzo Bojola, Massimo D’Amato, Lapo Pecchioli, Gianluca Sgherri e Mario Strippini. Sei mostre personali, della durata di due mesi ciascuna, che si susseguono nell’arco del 2025 fino a marzo 2026, per esplorare come la luce, le geometrie e i paesaggi del territorio, le architetture e l’assetto urbano, abbiano influenzato lo sguardo degli autori.
Il titolo “Tracce" richiama proprio l’imprinting iniziale che un ambiente lascia sui suoi abitanti, plasmandone la percezione e la visione del mondo. La curatrice, in questo senso, riprende il pensiero di Giorgio Vasari, che nelle Vite degli artisti sottolineava le differenze stilistiche tra le scuole pittoriche italiane. Così come Vasari specificava la peculiarità della scuola fiorentina, nota per la sua tenuta disegnativa, analogamente Tracce Fiorentine propone una riflessione su come contesti diversi, paesaggi e atmosfere, orientino in modo emblematico le scelte artistiche, sia in pittura che, oggi, nella fotografia.
Lorenzo Bojola è il secondo degli autori scelti ad esporre in questo contesto. Come racconta la curatrice Anna Maria Amonaci, nel testo La ricerca visiva di Lorenzo Bojola negli equilibri geometrici della natura, che accompagna la mostra, la conoscenza con il fotografo risale al 2016, grazie al professore di Storia dell’arte moderna, Carlo Del Bravo. Bojola aveva appena pubblicato per Nencini Editore, Architettura della memoria - Le case poderali del Chianti Fiorentino, un volume con oltre mille fotografie della natura chiantigiana. In questo progetto, proseguendo con le parole della curatrice, «si ritrova quella costante ricerca di punto massimo, di zenith, nell’assetto di equilibri quali segni di armonia, peculiare della fotografia fiorentina, il concetto che ha mosso appunto l’iniziativa ai 4 Leoni.»
Il linguaggio di Lorenzo Bojola fonde fotografia naturalistica e sensibilità artistica, trasmettendo un forte senso di appartenenza e di dialogo con l'ambiente. Le sue opere sono caratterizzate da una ricerca meticolosa della luce e delle ombre, che conferiscono alle sue fotografie una qualità quasi pittorica. Una celebrazione della bellezza del paesaggio toscano, ma anche un invito a considerare la fragilità e la transitorietà della natura. «Le immagini scelte - sottolinea Amonaci - sono di diversi periodi, ma tutte mostrano la campagna del Chianti, sia presa fissando paesaggi strepitosi, sia con visioni suggestive di abitazioni abbandonate (tratte dal su citato catalogo); altre sono scatti a riflessi di piante nell’acqua, o ad effetti di rami carichi di foglie (presso il Podere Le Radicchie): delle vere e proprie immersioni nella natura.»
Per l’occasione sarà proiettato anche un video, una breve antologia dei film documentari realizzati da Bojola negli ultimi anni proprio sul paesaggio toscano.
Lorenzo Bojola nasce a Firenze nel 1963 e si laurea alla facoltà di Architettura nella stessa città. Inizia a fotografare fin da bambino, affascinato dai reportage che il padre realizza fra gli anni Sessanta e Settanta in varie parti del mondo. Dagli anni Ottanta si dedica alla fotografia naturalistica e nel ‘95 si trasferisce per un periodo in Argentina, viaggiando all’interno del paese sudamericano per un progetto sul paesaggio che esporrà a Cordoba (Argentina), Miami (Usa), Caceres (Spagna) e infine Firenze. Rientrato stabilmente in Italia alla fine degli anni Novanta, pubblica alcuni lavori fotografici sul territorio del Chianti. È autore dei libri Tavarnelle Val di Pesa, una finestra sul Chianti (Nardini Editore, 2005) e Architettura della Memoria (Nencini Editore 2015), oltre ad una serie di pubblicazioni sull’architettura e sul paesaggio toscano. Nei primi anni Duemila insegna fotografia in alcuni comuni dell’area fiorentina e con i suoi allievi costituisce l’associazione fotografica I Fotosensibili, organizzando eventi ed esposizioni fotografiche.
Si diletta con la cinepresa fin da ragazzo e realizza nei Settanta alcuni cortometraggi girati in Africa. partire dagli anni Dieci del Duemila realizza alcuni film documentari (Il Corale A della Santissima Annunziata, 2016; La brace sotto la cenere, 2017; Valgo quanto amo, 2021; Abbay, (2023); l’ultimo film, sulla vita di Lea Brunner in Vogel, che visse col marito nella villa Vogel appunto, ora del Comune di Firenze, presentato lo scorso 3 febbraio al Cinema La Compagnia.
Il programma delle prossime mostre: martedì 8 luglio, Massimo D’Amato; mercoledì 10 settembre, Lapo Pecchioli; mercoledì 5, Gianluca Sgherri; dal 14 gennaio al 15 marzo 2026, Mario Strippini.
Fotografia – Tracce fiorentine nasce da un’idea di Anna Maria Amonaci, promossa da Stefano Di Puccio, che dal 1995 gestisce la storica Trattoria 4 Leoni, punto di riferimento nel cuore dell’Oltrarno fiorentino, non solo gastronomico. Negli anni Di Puccio ha contribuito con passione alla valorizzazione del quartiere, promuovendo numerose iniziative artistiche come Settembre in Piazza della Passera, che ha animato la piazza dal 2002 al 2019, incontri e mostre, ultima quella del fotografo Carlo Fei. La collaborazione tra Anna Maria Amonaci e Stefano Di Puccio nasce già nel 2005 con l’esposizione dello scultore Filippo Dobrilla e successivamente con quella di Gianluca Maver, con grandi foto esposte negli ambienti esterni alla trattoria.
Informazioni TRATTORIA 4 Leoni
Tel. 055 218562 | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
La ricerca visiva di Lorenzo Bojola negli equilibri geometrici della natura
Di Lorenzo Bojola in qualità di eccellente fotografo me ne parlò il professore di Storia dell’arte moderna, Carlo Del Bravo, invitandomi ad incontrarlo e a visionare il suo lavoro. Questo accadde nel 2016, giusto l’anno prima della scomparsa del compianto insegnante.
Ebbi modo, dunque, di conoscere Lorenzo grazie a un pomeriggio passato in sua compagnia, intervistandolo lungamente sulla sua storia formativa e professionale e direi, più in generale, sulla sua vita, dato che la produzione artistica non si separa mai dal proprio sentire e dagli accadimenti che si succedono lungo il corso dell’esistenza.
Mi raccontò dei suoi studi alla Facoltà di Architettura a Firenze, della sua partecipazione al Dipartimento di Storia e Restauro, concentrando i propri interessi da una parte sulla storia architettonica, appunto, e dall’altra sulla scienza dell’arte del costruire. Così si indirizzò a indagare con la macchina fotografica i poderi nella zona nel Chianti, nel loro stato di abbandono, che gli permise, come egli scrisse in una lettera al Del Bravo stesso, di percepirvi «l'eco di una vita contadina nelle tracce e nei solchi del nudo abbandono, scarnificata nel corpo e privata delle belle forme, ma non per questo meno bella, rimanendone incantato». Per un intero anno ebbe modo di immergersi nella natura chiantigiana, raccogliendo oltre mille fotografie, da ciò ne nacque un progetto editoriale Architettura della memoria - Le case poderali del Chianti Fiorentino.
A riguardare questo suo catalogo ho pensato che nelle foto di Lorenzo si ritrovi quella costante ricerca di punto massimo, di zenith, nell’assetto di equilibri quali segni di armonia, peculiare della fotografia fiorentina, il concetto che ha mosso appunto l’iniziativa ai 4 Leoni.
Va detto, inoltre, che Bojola ritrova questo culmine proprio nel paesaggio, che gli diviene soggetto ispiratore per l’intrinseca bellezza della sua natura, fonte di meditazione sugli equilibri formali.
La sua formazione di architetto, ma prima di tutto l’essere cresciuto a contatto con le forme architettoniche di Firenze, lo conducono a individuare in queste antiche e fruste case rurali una ricerca di tono interiore profondo: le luci e le ombre della fotografia sono veicoli per fissare assetti compositivi; la ricerca della saldezza armonica trova appagamento nella bellezza dell’andamento dei vasti spazi paesistici del Chianti.
È molto forte in Bojola la volontà di ritrovare aderenza al proprio spirito attraverso la visione della natura interpretata, si direbbe, in chiave epica, che lo mosse decenni orsono a intraprendere un viaggio in solitaria durato tre mesi, lungo l’Argentina, traendone scatti di grande suggestione visiva di natura incontaminata. Fu allora che decise di dedicarsi completamente all’attività di fotografo.
Tale attività si è poi concentrata per un decennio, come detto, nelle terre del Chianti.
Fu il Del Bravo ad invitarlo a visitare con lui un lembo di campagna lungo il fiume della Val di Pesa, sotto al podere Le Radicchie, che a Lorenzo – come lui stesso ha poi scritto – apparve «sorprendente nuovo per la luce, i colori e l’atmosfera. Eppure, tutto – proseguiva – fa parte di una unità più vasta, così come una visione prospettica abbraccia forme geometriche riconoscibili e non».
Le immagini scelte sono di diversi periodi, ma tutte mostrano la campagna del Chianti, sia presa fissando paesaggi strepitosi, sia con visioni suggestive di abitazioni abbandonate (tratte dal su citato catalogo); altre sono scatti a riflessi di piante nell’acqua, o ad effetti di rami carichi di foglie (presso il Podere Le Radicchie): delle vere e proprie immersioni nella natura.
Con piacere ho inteso presentare pure, con una proiezione su schermo, una breve antologia dei film documentari ideati e composti da Bojola negli ultimi anni, nei quali ritrovo il suo sguardo pieno di incanto.
La Fondazione POMA Liberatutti – con lo sguardo proiettato lontano, ma sempre attenta anche al proprio territorio – dal 10 aprile al 27 luglio 2025 ospita la mostra Oltre Pinocchio – Cantico a Venturino, curata da Lucia Fiaschi e Filippo Bacci di Capaci. A Pescia, città che ha dato forma all’immaginario di Pinocchio, grazie al suo famoso parco a tema, questa esposizione rende omaggio a Venturino Venturi, l’artista che più d’ogni altro ha saputo trasformare in segno e materia la magia e la complessità del celebre burattino. Ma Oltre Pinocchionon è solo un tributo al personaggio di Collodi. La mostra esplora infatti l’intera ricerca artistica di Venturino: dai disegni alle sculture, dalle matrici alle maschere, dalle impronte alle tempere ispirate appunto a Pinocchio, svelando un percorso in cui il racconto del burattino si intreccia con una riflessione più ampia sulla condizione umana e sul linguaggio dell’arte.
La mostra presenta un nucleo di settantacinque opere, provenienti dall’Archivio Venturino Venturi, dal Comune di Firenze – Musei Civici Fiorentini, dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi, dalla collezione della BCC Banca Valdarno e da prestigiose collezioni private.
Trenta tempere originali realizzate da Venturino nel 1986 per un’edizione speciale de Le avventure di Pinocchio, mai esposte al pubblico se non in occasione della presentazione del volume, restituiscono un Pinocchio intenso, dinamico, intriso di quella forza primigenia che sempre ha caratterizzato la visione dell’artista.
In Quattordici impronte a olio, eseguite tra il 1963 e il 1968, la materia diventa traccia sostanziale, attraverso una tecnica in cui l’olio genera immagini di forte impatto espressivo.
Un posto di rilievo è riservato a sei matrici lignee intagliate per divenire sorgente dei monotipi, in bilico tra figurazione geometrica e suggestione figurale, che tanto affascinarono Lucio Fontana e la sua cerchia. Utilizzate come matrici per un brevissimo periodo - tutti i fogli da esse derivate portano la data 1948 - sono poi state trasformate in sculture dallo stesso Venturino.
Fondamentali nel percorso dell’artista le due sculture dedicate a Pinocchio, entrambe bozzetto per la grande statua che si sarebbe dovuta innalzare al centro della Piazza dei mosaici del Parco di Collodi. Il Pinocchio proveniente dalla collezione della BCC Banca Valdarno è una fusione il cui originale in cemento si trova nelle collezioni dei Musei Vaticani; mentre quello in legno, ferro e chiodi, proveniente dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi, fu presentato dallo scultore in occasione del concorso per la realizzazione del Monumento a Pinocchio, nel 1953, ed è preziosissima testimonianza della prima ideazione del Pinocchio, che poi non venne mai realizzato. Una terza scultura, il Ritratto di Giovanni Michelucci, fu eseguita da Venturino in occasione dell’importante sodalizio che lo legò all’architetto e che ebbe origine proprio dall’impresa collodiana, della quale Michelucci fu giurato e per la quale, in tempi successivi, contribuì anche alla progettazione del parco.
In esposizione, inoltre, diciotto maschere in cartapesta dipinta, con le quali l’artista esplorò nuove dimensioni espressive attraverso la tridimensionalità. Caratterizzate da linee essenziali e forme stilizzate, evocano in volti-ritratto l’archetipo del burattino e delle sue metamorfosi, incarnando, nella tensione tra staticità e movimento, le modalità fondamentali del modellare scultoreo dell’artista.
Completa il percorso espositivo il cortometraggio animato di Alice Rovai Turchino, che rielabora il mondo di Venturino in chiave contemporanea, creando un ponte tra la sua poetica e le sensibilità artistiche del presente. Un’opera che, attraverso il movimento e il suono, restituisce la vitalità del segno e della materia venturiniana, proiettandola in una nuova dimensione narrativa.
L’esposizione sarà accompagnata infine dal video Dimmi Venturino… per la regia di Francesco Castellani, contenente interviste e materiali provenienti dall’Archivio Venturino Venturi.
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Venturino Venturi (1918-2002) è stato una delle figure più affascinanti del panorama artistico italiano del Novecento. Nato a Loro Ciuffenna, in provincia di Arezzo, e formatosi tra Francia e Italia, ha attraversato momenti cruciali della storia con uno sguardo sempre rivolto alla sperimentazione. La sua arte, sospesa tra figurazione e astrazione, ha conquistato l’attenzione di critici e artisti, tanto che Lucio Fontana lo invitò a sottoscrivere il Manifesto dello Spazialismo. Ma è con Pinocchio che Venturino ha trovato una delle sue chiavi espressive più potenti: il burattino di legno, creatura simbolica, diventa il compagno di una vita, una figura attraverso cui riflettere sulla condizione umana, sulla libertà, sul destino. Non a caso, proprio il concorso per Un monumento a Pinocchio segnò un momento difficile nella sua carriera. Venturino, infatti, il concorso lo vinse, ma in ex-aequo, senza poter dunque realizzare il progetto originale, poiché il grande Pinocchio, progettato per il centro della piazza, della quale era stato autore dell’intera superficie musiva, non fu mai realizzato. Tuttavia, Venturino seppe trasformare questa esperienza in un ulteriore slancio artistico, facendo del burattino un emblema ancora più centrale nella sua ricerca. Lavorando assiduamente negli anni successivi e scegliendo di risiedere nella natìa Loro Ciuffenna, lì fondò il museo monografico che porta il suo nome e che oggi è un centro di studio e ricerca sull’espressione artistica della seconda metà del Novecento.
Questa mostra è dunque un omaggio a un maestro capace di trasformare la materia in poesia, e a una figura, quella di Pinocchio, che continua a parlarci di crescita, metamorfosi e speranza. Un’occasione per scoprire e riscoprire un artista che ha fatto della ricerca e dell’emozione il fulcro della propria opera.
Il catalogo, a cura di Marta Convalle, Lucia Fiaschi e Filippo Bacci di Capaci, sarà pubblicato da Edizioni Fondazione POMA Liberatutti, all’interno della collana PomArte.
L’esposizione si potrà visitare dal mercoledì alla domenica dalle 10 alle 12.30, e dalle 17.30 alle 22.00.
L’ingresso è libero, e non occorre presentare la tessera.
Fondazione POMA Liberatutti
Sulle sponde del fiume Pescia, nell’omonima città, sorge la Fondazione POMA Liberatutti. Un centro polifunzionale concepito per stimolare il libero pensiero e favorire l’incontro tra iniziative e forme artistiche diverse. Realizzata in un ex opificio ristrutturato, la Fondazione si presenta come una factory culturale.
Lo spazio ospita mostre d’arte, spettacoli dal vivo, conferenze ed eventi che spaziano dalla musica al teatro, alle arti visive, coinvolgendo artisti affermati e giovani talenti. Accanto agli eventi culturali, offre una ricca gamma di attività formative in continua evoluzione: laboratori di scrittura, pittura, scultura; l’apprendimento di lingue straniere; yoga, tai-chi, scacchi e non manca la scuola di cucina, pensata per unire creatività e tradizione gastronomica.
Il Refettorio è il punto d’incontro per eccellenza, più di un semplice ristorante, dove spettacoli e momenti di socialità si mescolano con una cucina di eccellenza.
Guidata da una filosofia inclusiva e libera da vincoli ideologici, la Fondazione POMA è un laboratorio di crescita personale e condivisione, dove il dialogo e la ricerca del bello si intrecciano in ogni attività.
Fondazione POMA Liberatutti E.T.S.
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Tornabuoni Arte è lieta di presentare la mostraCASORATI. Silenzi e Assonanze, che si inaugurerà martedì 6 maggio 2025, alle ore 17.30, nella sua sede di Milano, in via Fatebenefratelli 34/36.
Questa esposizione rappresenta una preziosa occasione per addentrarsi nell'universo artistico di Felice Casorati (1883-1963), uno dei protagonisti indiscussi del Novecento italiano. Le sue opere dialogheranno con quelle di altri artisti del secolo scorso, creando un affascinante intreccio di atmosfere, suggestioni e tematiche condivise.
Felice Casorati ha attraversato diverse fasi nel corso della sua carriera: dalla sua iniziale adesione al naturalismo, ha progressivamente abbracciato il simbolismo, per poi approdare al realismo magico. La sua arte, influenzata da maestri come Gustav Klimt e Piero della Francesca, si distingue per una rigorosa geometria e una straordinaria chiarezza formale. I suoi dipinti sono caratterizzati da prospettive insolite e una meticolosa attenzione ai dettagli, trasmettendo un senso di irrealtà e introspezione.
Tornabuoni Arte ha voluto realizzare questa mostra in concomitanza con la grande antologica dedicata all'artista in corso a Palazzo Reale, sempre a Milano, alla quale si ricollega idealmente.
Saranno esposti undici dipinti tra i più iconici di Felice Casorati, definito il pittore del silenzio e del mistero, esempi perfetti della sua incredibile capacità di catturare momenti di quiete e riflessione, di grande intimità e introspezione. Nel percorso espositivo andranno a confrontarsi con i dipinti di altri artisti, creando "assonanze" attraverso suggestioni, scenari e aree tematiche comuni. Ad esempio, Il Mattino (maternità) e Le Stiratrici, entrambi realizzati da Casorati nel 1954, si troveranno corrispondenza con le Figure femminili (1952), stilizzate e monumentali, di Massimo Campigli, creando un dialogo sull'amore famigliare, sui gesti, sulla maternità, sulle capacità di cogliere attimi di relazioni intime e domestiche, fatte di atmosfere sospese.
Studio per Giovinetta (1922) di Casorati troverà un interlocutore in Figure in rosso (1957 ca.) di Mario Sironi, tornando ad esplorare in particolare proprio il tema del silenzio, elemento tangibile e centrale nel lavoro dell’artista che anche Sironi ha esplorato in diverse opere, come mezzo per esprimere la condizione tragica dell’uomo contemporaneo.
L'attesa sarà rappresentata da Donna con le Carte (su sfondo di campi) (1954) di Casorati, in dialogo con Il Trovatore (1968) di Giorgio de Chirico, famoso per la sua pittura metafisica che combina elementi classici con atmosfere enigmatiche.
Casorati ha utilizzato la maschera nei suoi dipinti, legandola al concetto di identità e di mistero, di ambiguità e trasformazione. E in relazione a questa tematica, Testa in gesso con il drappo rosso (1952) di Casorati sarà accostata a due opere di Gino Severini, membro di spicco del movimento futurista, Natura morta con ruderi, piccioni e statua (1931) e Il balcone (la fenêtre) (1930 ca.). Seguirà, dietro le quinte, titolo del dipinto di Casorati, realizzato nel 1929, che sarà messo in rapporto, nuovamente con un’opera di Mario Sironi, Composizione (l’idolo) (1958 ca.).
Un gruppo di dipinti riguarderanno la rappresentazione del mare, esplorato attraverso Barche sulla spiaggia (1930-32) di Casorati, affiancato da Marina (1941) e Paesaggio di lago (1943) di Carlo Carrà, insieme a Idillio marino (1944) di Alberto Savinio e a Paesaggio (1931) di René Paresce, un artista che ha saputo combinare influenze cubiste con la tradizione italiana.
Nella sezione dedicata alla natura morta, ritroviamo René Paresce con una Natura morta del 1922, che, con la Natura morta (1934) di Giorgio de Chirico e Pesche e vaso (1952) di Ardengo Soffici, andrà a dialogare con Natura Morta (mele e flauti) (1954) oppure Fruttiera con limoni e uova (1959) di Casorati, dove l’equilibrio tra i toni vibranti e la disposizione degli elementi, invita a riflettere sullo spazio che ci circonda. In natura morta silente, che conferma la capacità dell’artista di creare, in queste combinazioni di oggetti semplici e quotidiani, un silenzio palpabile, Fruttiera tra i campi (1955) - esempio di come, ancora una volta, Casorati utilizzi colori brillanti e una composizione equilibrata per creare un senso di serenità e introspezione - risponderà a Natura morta nel paesaggio con uva, mele e pera (1950 ca.) di Giorgio de Chirico e a Natura morta con grappoli d'uva, pere e bicchiere (1919) di Gino Severini.
Infine, nella sezione dedicata al nudo, Nudo sul paesaggio (1951), scelto come immagine della mostra, dove Casorati indaga la bellezza del corpo umano con una sensibilità che va oltre la semplice rappresentazione visiva, sarà accostato a Nudo femminile (1923 ca.) di Giorgio de Chirico e a "Nudo di schiena" (1930) di Felice Carena.
L’esposizione Silenzi e Assonanze, creando questo percorso dialettico tra le opere di Felice Casorati e quelle di altri importanti protagonisti del Novecento, vuole offrire una visione più completa, oltre che dell’universo creativo di Casorati, delle affinità e delle influenze che hanno caratterizzato il panorama artistico del secolo scorso. L’esposizione rimarrà aperta fino al 29 giugno 2025.
INFORMAZIONI E CONTATTI Tornabuoni Arte Milano
Via Fatebenefratelli, 34/36 – 20121 (MI)
tel. +39 02 6554841 | email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. | www.tornabuoniart.com
“Dipingere il paesaggio”, inaugurata a Terzigno la mostra di Salvatore Emblema
Il nuovo progetto esposito, finanziato dalla Regione Campania, è stato presentato il 28 marzo al Museo Emblema con la performance musicale di Dada’.
Il presidente De Luca: «Celebriamo la memoria di chi ha saputo dare una nuova luce alla nostra cultura»
Il Museo Emblema di Terzigno (NA) presenta il progetto espositivo dal titolo “Dipingere il paesaggio” di Salvatore Emblema (1929-2006), a cura di Renata Caragliano e Emanuele Leone Emblema, programmato e finanziato dalla Regione Campania (fondi POC 2014–2020), realizzato da Scabec – Società Campana Beni Culturali nell’ambito della rassegna Campania by Night, con il Museo Emblema.
La mostra, inaugurata il 28 marzo e aperta fino al 31 luglio, prende il titolo da un’opera di Emblema del 1967-’73: “Dipingere il paesaggio”, un’installazione composta da un insieme di fascine di rami di castagno ridipinti in un colore Blu Emblema, e propone un viaggio nelle installazioni ambientali nella natura che l’artista ha realizzato ai piedi del Vesuvio. Una vera e propria anticipazione della Land Art sotto il vulcano messa in atto dal 1967 in avanti. Esperimento documentato anche da alcuni scatti fotografici, nei quali si vede come Emblema fosse intervenuto con pigmenti naturali (rosa, bianco, verde) sugli alberi di pino circostanti la sua casa-studio, cambiandone colore. Un’azione bloccata in un fermo immagine, che fissa a un attimo preciso il ciclo di vita di quell’intervento di “dipingere il paesaggio” destinato a scomparire nel tempo.
In esposizione una selezione di opere, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, allestite tra interno ed esterno del museo, realizzate con materiali industriali, semilavorati e prefabbricati in metallo, “griglie” che interagiscono con lo spazio circostante utilizzando la linea come forma scultorea. Strutture primarie che, come una rete, danno vita a forme geometriche elementari allo scopo di creare opere pure che si sviluppano in verticale, “trasparenti”, e che – come nel caso delle sue opere su tela di juta – da corpi solidi e tridimensionali perdono peso raggiungendo la trasparenza.
«La Regione Campania continua con determinazione nel suo impegno per l’arte e la cultura, elementi fondamentali per la tutela del patrimonio e dare un’identità viva e condivisa alla nostra comunità – ha dichiarato il presidente Vincenzo De Luca –. La mostra celebra un artista che ha saputo reinterpretare il legame con la sua terra. Oggi, la sua ex casa-studio a Terzigno torna a essere luogo di incontro, in perfetta sintonia con lo spirito delle celebrazioni che l’artista organizzava. Questa iniziativa rinnova la nostra dedizione nel rendere l’arte accessibile e viva, tramandando la memoria di chi è riuscito a dare una nuova luce alla nostra cultura.»
L’inaugurazione è stata seguita dalla performance musicale di Gaia Eleonora Cipollaro, in arte Dada’, cantautrice partenopea che unisce cultura napoletana e world music con contaminazioni club ed elettroniche, e che propone una musica in bilico tra passato e futuro, tradizione e innovazione. L’evento musicale si è avvalso della consulenza artistica di Stefano Piccolo.
Per tutta la durata della mostra sono previsti percorsi didattici, visite guidate ed eventi speciali come la presentazione del libro di poesie di Enzo Ragone, “La seconda vita del desiderio” (Interno Libri Edizioni), in programma domenica 4 maggio presso il Museo Emblema: un volume a cura di Francesco Napoli che connette brillantemente il tratto poetico di Ragone con quello pittorico – e a suo modo poetico – di Salvatore Emblema, fondendo due linguaggi con un’unica visione.
Tra i percorsi didattici, si propone un’esperienza a tratti immersiva, per allargare e allacciare allo stesso tempo i confini tra interno ed esterno, natura e cultura. Dopo aver visitato la mostra il pubblico verrà invitato a selezionare le opere esposte in una fotogallery virtuale, caricata in un tavolo tattile digitale. Ogni scelta verrà fatta sulla base dell’opera che ha provocato la più intensa partecipazione emotiva, che ha provocato il massimo di stupore e meraviglia rispetto al proprio modo di concepire l’arte e che dialoga di più con lo spazio esterno della natura. Il secondo percorso educativo disamina a tutto tondo del concetto di pittura, di orizzontalità, di proporzioni prospettiche e pattern coloristici storicamente legati alla pittura di paesaggio. Ideato per diverse fasce d’età, si caratterizza per una visita interattiva alla mostra e un successivo laboratorio pratico della durata complessiva di circa due ore.
La mostra, a ingresso gratuito, è visitabile dal lunedì al venerdì nei seguenti orari: 9.30-13.00 e 14.30-18.30. Il museo sarà aperto in via straordinaria anche sabato 29 e domenica 30 marzo nei seguenti orari: 10-13 e 15-18. Le visite guidate e interattive sono gratuite, con prenotazione obbligatoria sul sito www.museoemblema.com.
La versione digitale del catalogodella mostra è scaricabile dal sito www.scabec.it.